Myc (Match young competence)

Author picture

Novara, Verona, Brindisi, Guidonia, Vallo della Lucania, Enna e Nuoro. Sono le prime sette sedi scelte per il lancio, che avverrà probabilmente in autunno, dei Myc (Match young competence), sette hub per rafforzare la vocazione imprenditoriale e le competenze dei giovani, agendo sulla formazione e lavorando con aziende, realtà private e pubbliche, enti di formazione. L’obiettivo, annuncia a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e della Luiss Business School) la ministra per le Politiche giovanili Fabiana Dadone, è quello di «superare il divario tra domanda e offerta di lavoro agendo sul disallineamento tra i profili e le competenze ricercate dalle aziende da un lato e la formazione e le esperienze dei giovani dall’altro». E di fronte alla carenza delle competenze digitali e in campo della cybersecurity in particolare, la ministra sottolinea la necessità di non perdere «quel treno di riorientamento organizzativo e quindi anche sociale e culturale» innescato dalla pandemia che «anzi andrebbe colto e rafforzato per permettere a tutti i cittadini, tanto nel settore privato quanto in quello pubblico, di acquisire competenze e conoscenze adeguate in un mondo sempre più smart, interconnesso e quindi anche esposto ai rischi cyber».

Come si struttura il progetto dei 7 hub?

Si tratta di un progetto sperimentale rivolto ai giovani e alle aziende, che permette alle realtà pubbliche e a quelle private dei vari territori di lavorare insieme, in maniera sinergica, con uno scopo unitario: sviluppare la vocazione imprenditoriale e rafforzare le competenze per l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità degli under 35, puntando al lavoro e alla formazione dei giovani per contribuire allo sviluppo e al rilancio delle comunità territoriali. I Myc, in questa fase sperimentale, saranno realizzati a Novara, Verona, Brindisi, Guidonia, nel Cilento, ad Enna e Nuoro. Aziende, associazioni di categoria, università, istituti scolastici, ITS, enti locali, professionisti saranno impegnati insieme, in una cornice snella ma definita, per raggiungere obiettivi comuni, coordinati dal Dipartimento per le politiche giovanili e il servizio civile universale, per il tramite di Invitalia. Intendiamo con il progetto “Myc: match youth competence” superare il divario tra domanda e offerta di lavoro agendo sul disallineamento tra i profili e le competenze ricercate dalle aziende da un lato e la formazione e le esperienze dei giovani dall’altro. Ogni Myc offrirà servizi, svolgerà eventi informativi, orientativi e di incrocio domanda/offerta nonché percorsi di orientamento e formazione sulle competenze trasversali e su quelle imprenditoriali, guardando a una o più vocazioni territoriali specifiche: ad esempio la biotecnologia, la transizione ecologica, l’agroalimentare, la moda, il design, la logistica, la nautica, il marketing territoriale, la ristorazione e l’accoglienza, la cybersecurity, l’aerospazio, etc. Metodologie e format interattivi e altamente esperienziali, basati su simulazioni, gamification, role-playing, challenge, lavori di gruppo sono le leve con le quali ogni Myc offrirà i propri servizi in favore dei giovani non solo per trasferire conoscenze e competenze, ma per sviluppare il pensiero creativo, la capacità di risoluzione dei problemi e l’orientamento innovativo (c.d. growthmindset).

Quali le esigenze che hanno portato allo studio di questo progetto e quali gli obiettivi?

Ogni settore produttivo lamenta la difficoltà a trovare risorse umane formate, esperte, capaci. Con i 7 centri in via sperimentale cerchiamo di segnare una best practice che parta dalla mappatura dei fabbisogni e dell’esistente in termini di formazione e professionalizzazione per organizzare con tempi rapidi percorsi di orientamento e formazione ad hoc. Puntiamo a farlo però con il contributo di tutti gli attori dei territori e dei settori interessati. Sinteticamente i tre obiettivi centrali sono: facilitare la transizione scuola-lavoro, sviluppare la vocazione imprenditoriale nei giovani e favorire la realizzazione di stage di lavoro all’estero. I servizi e le attività dei Myc sono rivolti ai giovani in età scolare e post scolare (14-35 anni) e sono declinati su tre differenti ambiti di destinatari: studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado (14-18 anni); studenti universitari (19-24 anni) e giovani disoccupati o in cerca di occupazione (19-35 anni) con uno sguardo ovviamente rivolto anche ai Neet.

Quali sono i tempi stimati di realizzazione?

Si stanno definendo gli aspetti organizzativi e amministrativi, l’individuazione delle sedi direzionali e il coinvolgimento dei primi partner di ciascun Myc nei vari territori. Prevediamo nel prossimo autunno di inaugurare i Myc per lanciare in via formale le linee di intervento in ambito orientativo, informativo, formativo e di incrocio domanda/offerta di lavoro.C’è in Italia, anche fra i giovani, un forte problema di competenze digitali e in particolare di cybersecurity, come si può risolvere e in che tempi? Lo sforzo messo in atto dai colleghi di Governo è ampio e sta cominciando a produrre i primi risultati. È evidente che il Paese ha un ritardo che in occasione della crisi pandemica è stato notevolmente ridotto anche per la necessità di ridefinire l’organizzazione del lavoro e dei servizi. Certamente quel treno di riorientamento organizzativo e quindi anche sociale e culturale non dovrebbe essere perso, anzi andrebbe colto e rafforzato per permettere a tutti i cittadini, tanto nel settore privato quanto in quello pubblico, di acquisire competenze e conoscenze adeguate in un mondo sempre più smart, interconnesso e quindi anche esposto ai rischi cyber. Il Pnrr può essere la soluzione, anche alla luce degli ultimi imprevisti avvenimenti come il conflitto russo-ucraino? Sicuramente. Anche se è sotto gli occhi di tutti che tra gli strascichi pandemici, la crisi causata dalla invasione russa in Ucraina e l’impatto di quest’ultima sui mercati e sui settori produttivi, le risorse stanziate per far fronte ai danni dal Covid-19 rischiano di essere fortemente intaccate nella loro utilità ed efficacia.

Come coinvolgere le ragazze nello studio delle materie Stem?

Educando e formando le famiglie, penso, innanzitutto. Purtroppo, veniamo da decenni di una certa cultura che ha da un lato spinto le varie generazioni a rincorrere la formazione scolastica classica, diremmo, o comunque umanistica a discapito di quella scientifica, tecnica o professionale. Dall’altro abbiamo subito un orientamento di genere della formazione, con evidenti ricadute in termini di impoverimento dell’offerta e di un conseguente mancato sviluppo, di una cultura sociale e familiare che vede uomo e donna paritari a lavoro, nella gestione delle cure familiari, etc. È un problema unico che va affrontato in maniera organica.Per quanto riguarda le materie scientifico-tecnologiche ci sono numerosi casi di campagne role model per permettere alle ragazze di vedere concretamente i risultati e le possibilità di donne che come loro hanno scelto la strada di una formazione tecnologica o scientifica. Credo che l’esempio, la testimonianza diretta, di “persone normali” rappresenti oggi per i nostri giovani in generale e per le ragazze in particolare la leva migliore per diffondere e divulgare le buone pratiche, le opportunità, le potenzialità del mondo in cui viviamo.

Ti piace questo articolo?

Condividilo su Facebook
Condividilo su Twitter

Lascia un commento