Ecco perchè è giusto il sì

Author picture

La mia lettera al direttore de la Stampa, Massimo Giannini, pubblicata oggi:

Gentile direttore,

grazie innanzitutto per lo spazio di dibattito. Lei sostiene che la riduzione dei parlamentari non sia criticabile in assoluto, ma perché sganciata da “una revisione complessiva della nostra architettura costituzionale”.

In effetti, la riforma costituzionale è accuratamente circoscritta. Rivendico questa scelta: dato che ai referendum costituzionali l’elettore si può esprimere solo con un sì o con un no, occorre che i quesiti siano omogenei e puntuali. Se non lo fossero, come con le precedenti riforme di centrosinistra e centrodestra, il quesito acquisterebbe carattere plebiscitario, perché i cittadini dovrebbero bocciare o approvare in blocco l’operato della maggioranza, non potendosi esprimere separatamente su una congerie di questioni diverse. Rispettiamo, dunque, la libertà degli elettori ed evitiamo un uso demagogico del referendum.

Criticare il taglio del numero dei parlamentari perché manca una riforma più ampia non mi convince poi per altre due ragioni.

In primo luogo, la riduzione è stata associata, negli anni, alle riforme più diverse: dal presidenzialismo al cancellierato, da progetti federali a ipotesi di nuovo accentramento. Ne deduco che la sua opportunità prescinda dalle riforme che le si abbinano.

In secondo luogo, si sostiene che il taglio del numero dei parlamentari sarebbe opportuno solo all’interno di una riforma del bicameralismo perfetto, con un Senato espressione delle regioni o delle autonomie. Così facendo, tuttavia, resterebbe solo la Camera bassa a svolgere la funzione di rappresentare i cittadini. E non si comprende come la riduzione alla sola Camera dei Deputati della funzione di rappresentanza generale possa stemperare il presunto difetto di rappresentatività che si realizzerebbe con i parlamentari ridotti ma mantenendo anche al Senato la funzione rappresentativa che ha sempre avuto da ’48 ad oggi.

A proposito, poi, del raffronto con gli altri Paesi, in Italia gli eletti diventerebbero 600 per 60 milioni di abitanti. Nel nostro sistema anche i 200 senatori rappresentano la generalità dei cittadini. Nel Regno Unito, invece, i rappresentanti degli elettori sono solo nella Camera dei Comuni (o vogliamo sostenere che i Lord ereditari e di nomina regia siano rappresentanti del popolo?), che conta 650 membri per 67 milioni di abitanti. Lo stesso si dica per la Germania: 700 rappresentanti per 83 milioni di persone (i 69 “senatori” tedeschi non rappresentano il popolo, ma i Lander). Così per Francia e Spagna. Quindi, in Italia oggi c’è un eletto in Parlamento ogni 64mila abitanti, dopo la riforma sarà uno ogni 101mila; nel Regno Unito uno ogni 102mila, in Germania e in Francia uno ogni 117mila. Dunque l’Italia rimarrà, tra i grandi Paesi europei, quello con meno abitanti per ogni parlamentare eletto, ma si allineerà in sostanza ad essi.

Quanto poi alla diseguaglianza tra territori che uscirebbe dalla riforma, essa è riscontrabile già oggi, perché la Costituzione prevede che i senatori siano distribuiti tra le regioni in base alla popolazione, ma con la garanzia di un minimo di sette per ciascuna. La riforma non acuisce tale sperequazione, anzi la riduce, perché i seggi garantiti a prescindere dalla popolazione saranno ridotti da sette a tre.

Insomma, la riforma non indebolisce la rappresentanza. Anzi, rafforza il Parlamento. Le due Camere, meno pletoriche, lavoreranno meglio. I parlamentari saranno necessariamente frutto di una maggior selezione, più riconoscibili dagli elettori e dunque saranno chiamati a rispondervi con maggiore efficacia.

So bene che non siamo di fronte alla panacea di tutti i mali, ma, procedendo con il metodo delle riforme puntuali, il piano di manutenzione istituzionale potrà proseguire per dare più forza al Parlamento, più stabilità al Governo e più voce ai cittadini.

Fabiana Dadone, ministro per la Pubblica amministrazione

Ti piace questo articolo?

Condividilo su Facebook
Condividilo su Twitter

Lascia un commento