Ministro della funzione pubblica Fabiana Dadone, nella manovra appena approvata le risorse per il rinnovo del contratto degli statali sono state portate a 3,4 miliardi. Per i sindacati sono ancora insufficienti. Come avete intenzione di procedere?
«Abbiamo avviato una interlocuzione importante con i sindacati. A gennaio partirà il tavolo con l’obiettivo di sottoscrivere un memorandum utile al rinnovo dei contratti del pubblico impiego».
Cosa conterrà questo memorandum?
«Toccheremo i
temi della formazione e della valorizzazione del personale, fino alla
riclassificazione professionale peraltro già oggetto di confronto nella
commissione paritetica all’Aran. Sarebbe utile inoltre rivedere il
sistema di valutazione delle performance e rimediare a talune disparità
presenti ancora tra i lavoratori pubblici e quelli privati».
C’è la possibilità che nel memorandum il governo si impegni a nuovi stanziamenti, magari in vista del Def di aprile?
«Dipende
da quanto tempo sarà necessario per la definizione del memorandum
stesso e soprattutto dalle disponibilità che con il ministero
dell’Economia saremo capaci di individuare. Non dimentichiamoci che
abbiamo dovuto disinnescare le clausole di salvaguardia e al contempo
tutelare i cittadini, le famiglie e le imprese con uno sforzo estremo».
Secondo
le vostre stime, i 3,4 miliardi garantirebbero aumenti del 3,5%, ossia
95 euro lordi. Ma se lo stanziamento dovesse coprire anche altre voci
come l’elemento perequativo, ossia i 20 euro per i redditi più bassi,
allora dicono i sindacati gli aumenti sarebbero più bassi degli 85 euro
dell’ultimo rinnovo. C’è un aumento minimo che volete garantire agli
statali?
«Guardi, come si arrivò all’individuazione di
quegli 85 euro è noto a tutti, le contingenze a volte la fanno da
padrone, proprio come in questo momento. L’elemento perequativo intanto,
come prevede la norma, è previsto fino alla sottoscrizione del nuovo
contratto. Quindi questa somma è fatta salva nelle more del rinnovo e
sarà poi assorbita nelle risorse già messe a disposizione. Lo sforzo
dell’esecutivo è stato già considerevole».
Quindi c’è poco spazio per altre risorse?
«Il
mio impegno, come del resto quello del governo tutto, è di individuare,
se ci saranno le condizioni, le risorse ulteriori o gli interventi
normativi che permettano di incrementare l’aumento del contratto».
Interventi come la defiscalizzazione degli aumenti chiesta dai sindacati?
«Vedremo con il ministero dell’Economia».
L’ultimo
rinnovo copriva il periodo 2016-2018. Il nuovo contratto riguarda il
triennio 2019-2021. Lei ritiene che riuscirete a firmarlo entro il 2020?
«Questo
è il mio auspicio e quello dei sindacati. È per questo che abbiamo
proposto la sottoscrizione di un memorandum. Ogni sforzo è utile per
raggiungere il traguardo del rinnovo contrattuale entro questo anno».
A
proposito di disparità con il privato. Oggi i dipendenti pubblici
ricevono ancora la buonuscita fino a 7 anni dopo il pensionamento. Il
precedente governo ha introdotto il meccanismo dell’anticipo mediante un
prestito bancario. A che punto sono il decreto attuativo e la
convenzione con l’Abi?
«Lo schema di decreto è al parere del
Consiglio di Stato e stiamo provvedendo nel frattempo a concludere
l’iter per la convenzione con Abi. Gli attori coinvolti sono diversi, ma
contiamo di chiudere entro gennaio».
La Corte
Costituzionale, tuttavia, pur riconoscendo legittimo il ritardo del
pagamento del Tfs-Tfr in caso di prepensionamento, ha invitato il
governo a modificare le norme per il pagamento della buonuscita in caso
di pensionamento ordinario eliminando l’attesa. Agirete in tal senso?
«Intanto
pensiamo a dare attuazione alla norma di cui appena detto, che era
rimasta troppo a lungo lettera morta prima del nostro arrivo. Poi il
governo, nella sua collegialità, potrà avviare ulteriori ragionamenti
per migliorare le condizioni dei lavoratori e pensionandi pubblici».
Le
differenze tra privato e pubblico restano molte, non solo su contratti e
Tfr. I dipendenti privati, per esempio, in caso di paternità hanno
diritto a 7 giorni di congedo. Nel pubblico solo uno. Perché?
«Abbiamo
già provato ad allargare il numero di giorni. C’era un problema di
coperture finanziarie. Tenteremo più avanti di trovare la quadratura del
cerchio su una norma che è di civiltà, oltre che di buonsenso».
Nei
giorni scorsi il suo ministero ha dettato le linee guida per la
valutazione dei dipendenti pubblici. Come nasce l’idea di indicare per
ogni amministrazione un dipendente del mese?
«Preciso che è
solo una delle possibili best practice che le linee guida suggeriscono
alle amministrazioni. L’opzione nasce dall’idea che la soddisfazione
professionale e l’attaccamento all’amministrazione per cui si lavora non
scaturiscano solo da un riconoscimento di mero carattere economico».
Lei
ha deciso di tornare indietro sulle impronte per i furbetti del
cartellino decise dal suo predecessore. Le false attestazioni di
presenza non sono più una emergenza?
«Non lo sono mai state,
se vogliamo usare il significato giusto della parola “emergenza”. Io
tengo sempre presente un esempio di imprenditoria privata molto valido,
diciamo pure tra i più validi in Italia, che è quello dei Ferrero. Non
so esattamente se lì fanno così, ma conoscendo il modello di
organizzazione, credo che se scoprono un dipendente che fa il furbo,
oltre agli interventi disciplinari, si chiedano perché sia successo.
Questo né il mio predecessore né altri lo hanno fatto. Invece un datore
di lavoro deve chiedersi il perché. Allora l’emergenza vera è quella di
uno Stato che non ha mai messo i propri dipendenti nelle condizioni di
fare il proprio dovere con soddisfazione. Dopodiché è chiaro che chi
sbaglia va punito senza alcuna clemenza, però valorizzare chi lavora
bene significa anche prosciugare il brodo di coltura in cui
attecchiscono gli abusi».
Negli ultimi anni i dipendenti
pubblici sono stati indicati come fannulloni o come furbetti. Qual è la
sua visione della pubblica amministrazione?
«Per lungo
tempo, in passato, abbiamo visto un approccio esclusivamente critico nei
confronti dell’impiego pubblico. Molti dei governi passati hanno
cavalcato il malcontento verso la qualità dei servizi erogati dalle
amministrazioni, orientandolo contro le persone che vi lavorano. Per me
questo è il momento giusto per virare e fare ciò che è giusto. Come già
detto, sarebbe opportuno che il memorandum prevedesse anche impegni per
una maggiore parità di trattamento tra dipendenti privati e pubblici».
Nel
2020 secondo le stime lasceranno la pubblica amministrazione 150 mila
dipendenti che dovranno essere sostituiti. Come intendete agire? Che
profili entreranno, in che modo e in che tempi?
«La cifra
potrebbe essere quella. Stiamo provvedendo a rivedere i bandi di
concorso per permettere una profilazione più puntuale e soprattutto più
rispondente alle esigenze delle amministrazioni, dei cittadini e delle
imprese. Vogliamo assumere più ingegneri, architetti o informatici.
Abbiamo già inserito una norma nel Milleproroghe per permettere a tutte
le amministrazioni di usare dei bandi di concorso standard per
accelerare le procedure. Il prossimo anno prevediamo concorsi per
migliaia di posti. Voglio incentivare l’ingresso dei giovani, ma anche
la valorizzazione di professionalità ed esperienze maturate fuori dalla
Pa. Punto inoltre a definire meccanismi di incentivazione dell’incontro
tra domanda e offerta soprattutto attraverso il canale universitario».