L’Italia che lotta e l’Italia che nega

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Colpisce oggi vedere le immagini di due Italie che stridono tra loro. Da una parte, complice il bel tempo, quella di fiumi di persone che riempiono Via del Corso, a Roma, o il lungomare di Napoli e che esprimono la richiesta implicita di un ritorno alla normalità. Dall’altra, quella del grido di allarme dei nostri medici, infermieri e personale sanitario che chiedono misure più forti.

Comprendo la voglia di allentare un po’ la tensione di questi mesi trascorrendo qualche ora all’aria aperta, soprattutto nelle aree gialle che consentono più libertà di movimento. Tuttavia, questo è un modo di reagire sbagliato. Serve prudenza, attenzione. A marzo-aprile ci siamo dimostrati un grande Paese, dobbiamo riuscirci di nuovo adesso.

Dividere l’Italia in aree di rischio rappresenta uno strumento che il Governo ha messo in campo per graduare con proporzionalità e adeguatezza le restrizioni in ragione delle diverse condizioni in cui si trovano i vari territori. Stiamo aumentando giorno per giorno la capacità di monitoraggio grazie ai tamponi e al tempo stesso stiamo provando a indennizzare con la massima flessibilità, e senza lesinare risorse, tutte le attività colpite dalle limitazioni già decise e che magari, speriamo di no, dovessero arrivare in futuro.

Non voglio tornare sulla particolare delicatezza della situazione in alcune Regioni, tuttavia, voglio ribadirlo, non esistono zone verdi. Anche le aree gialle rimandano a contesti e scenari preoccupanti. Il virus si combatte solo stando uniti, cittadini e istituzioni, e marciando compatti nell’unica direzione che può salvare noi, la nostra famiglia e il Paese intero.

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