Lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile

Author picture

Il recepimento della Direttiva 2011/36/UE, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di essere umani e la protezione delle vittime il cui termine che è scaduto il 6 aprile 2013 è giunto in commissione: lo schema, dunque, riguarda la disciplina di un fenomeno di particolare gravità che impone norme e procedure efficaci per contrastare e prevenire il crimine stesso e per garantire alle vittime adeguate misure di protezione, tutela e assistenza.

Lo schema attua soltanto una parte della Direttiva, omettendo di recepire, o recependo in modo non adeguato né completo, diverse disposizioni che ne costituiscono parte integrante e dirimente.

Lo schema non dispone in ordine ad alcune previsioni contenute nell’articolo 2 della Direttiva stessa tra cui: la definizione di «posizione di vulnerabilità» così come formulata nella direttiva e sarebbe stato più opportuno formulare la norma ricalcando esattamente l’articolo 2 della direttiva europea.

Prevedere modalità particolari di espletamento dell’incidente probatorio anche in caso di persone maggiorenni è positivo. Si sarebbe tuttavia potuto introdurre ulteriori norme a tutela della protezione e del diritto di difesa delle vittime e, dunque, recepire più compiutamente la direttiva europea.

L’introduzione di una norma che preveda l’accesso al patrocinio a spese dello Stato delle vittime prive di risorse finanziarie sufficienti secondo i parametri previsti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02, senza la necessità della certificazione dell’Autorità Consolare del paese di origine, spesso nella prassi non rilasciata, bensì solo previa autocertificazione della persona offesa.

Non si recepisce l’articolo 13, comma 2, della Direttiva – che impone agli Stati membri di provvedere «affinché, ove l’età della vittima della tratta di esseri umani risulti incerta e vi sia motivo di ritenere che sia un minore, detta persona sia considerata minore al fine di ottenere accesso immediato all’assistenza, al sostegno e alla protezione a norma degli articoli 14 e 15» (articoli che disciplinano, rispettivamente, l’assistenza e sostegno alle vittime minorenni e la tutela dei minori vittime della tratta di esseri umani nelle indagini e nei procedimenti penali). Si rinvia la disciplina della procedura multidisciplinare di determinazione dell’età ad un successivo decreto ministeriale e ci si limita ai casi in cui sia «strettamente necessario, l’identificazione dei minori mediante il coinvolgimento delle autorità diplomatiche», mentre sembra prevedere che la procedura multidisciplinare di determinazione dell’età vada applicata in via ordinaria: tali disposizioni violano i criteri di delega stabiliti dalla legge 6 agosto 2013, n. 96 «Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea.

Nello schema si prevedono specifici moduli formativi sulla tratta nei percorsi di formazione delle Amministrazioni ma sarebbe opportuno fornire un’indicazione più precisa in ordine ai destinatari di tale formazione, alla stregua di quanto indicato nel considerando 25 della Direttiva.

Non viene recepito quanto previsto dalla direttiva europea all’articolo 17 – il quale impone agli Stati di provvedere affinché le vittime abbiano accesso ai sistemi vigenti di risarcimento delle vittime di reati dolosi violenti – né sembra contribuire alla creazione di un sistema efficace: risulta utilizzato per il risarcimento delle vittime il fondo al quale sono assegnate le somme stanziate dai proventi della confisca disposta in seguito ad una sentenza per i reati connessi alla tratta ed i proventi della confisca ordinata per gli stessi delitti. Stante la clausola di invarianza finanziaria di cui all’articolo 11 del presente schema di decreto legislativo la previsione così come è costruita sembra di difficile attuazione.

Non può assolutamente condividersi quanto previsto al comma 2-ter dell’articolo 12 così come modificato, il quale stabilisce una somma forfetaria (euro 1.500,00) per ogni vittima, peraltro in misura estremamente esigua, se non offensiva, avuto riguardo a quanto subito dalle persone vittime di tratta di esseri umani. Sembra del tutto inopportuno il termine decadenziale di un anno dal passaggio in giudicato della sentenza penale per la presentazione della domanda di accesso al Fondo rispetto all’obbligo di dimostrazione di aver esperito – dunque in tale breve lasso di tempo – l’azione civile e le procedure esecutive. Non è dato comprendere infatti come potrebbe una vittima riuscire a presentare la domanda di indennizzo senza incorrere nella suddetta decadenza se, com’è noto, i tempi della giustizia civile mai le consentirebbero entro lo stesso termine di aver concluso l’azione esecutiva dimostrando così il mancato risarcimento da parte dell’autore del reato.

Lo schema investe del ruolo di «relatore nazionale o meccanismo equivalente» di cui all’articolo 19 della direttiva europea il Dipartimento per le pari opportunità, assegnandogli i compiti previsti dal legislatore europeo oltre che mantenendo in capo al Dipartimento stesso quelli che storicamente erano i compiti della Commissione per il sostegno alle vittime di tratta, violenza e grave sfruttamento presso il Dipartimento stesso. La scelta non appare condivisibile: sarebbe opportuno che il meccanismo equivalente, per le funzioni che è chiamato a svolgere, sia un organismo indipendente, così come peraltro in altri paesi dell’Unione Europea.

Viene perseguito l’obiettivo di unificare i programmi di assistenza e integrazione sociale di cui all’articolo 18 stesso e all’articolo 13 L. 228/03 creando un unico «programma di emersione, assistenza e integrazione sociale» strutturato in due fasi, una prima di assistenza in via transitoria – evidentemente per quelle situazioni in cui si pone la necessità di verificare la reale situazione e la volontà della persona di aderire al programma – ed una seconda di prosecuzione dell’assistenza e integrazione sociale. Posto che tale previsione ricalca l’attuale prassi operativa, non è dato comprendere se la formalizzazione di un unico programma comporterebbe una riduzione dei finanziamenti degli enti pubblici e del privato sociale che oggi in tutta Italia si occupano dell’assistenza e protezione delle vittime, eventualità da scongiurare dove si voglia mantenere in vita l’attuale sistema anti tratta.

Inoltre quanto previsto sembra rispondere alla necessità di recepire l’articolo 11 della direttiva europea, che prevede una serie di obblighi a carico degli Stati relativi all’assistenza e sostegno alle vittime di tratta di esseri umani. Tuttavia la suddetta norma europea non sembra essere stata completamente recepita. Sarebbe dunque necessario integrare lo schema di decreto legislativo con altre previsioni in linea con quanto disposto dal legislatore europeo.

Nel rimandare l’individuazione di misure di coordinamento tra i sistemi di tutela delle vittime di tratta e in materia di asilo alle Amministrazioni sembra violare i criteri di delega stabiliti dalla legge 6 agosto 2013, n. 96, che stabilisce che sia il Governo a «prevedere misure che facilitino il coordinamento tra le istituzioni che si occupano di tutela e assistenza alle vittime di tratta e quelle che hanno competenza sull’asilo, determinando meccanismi di rinvio, qualora necessario, tra i due sistemi di tutela».

Nello stabilire che allo straniero «sono fornite adeguate informazioni in lingua a lui comprensibile in ordine alle disposizioni di cui al predetto comma 1 nonché, ove ne ricorrano i presupposti, informazioni sulla possibilità di ottenere la protezione internazionale» non sembra essere sufficientemente chiaro in ordine alle modalità con cui tali informazioni sono fornite e ai soggetti cui spetta detto onere, lo schema di decreto legislativo non provvede a recere una norma di particolare rilevanza, contenuta all’articolo 8 della Direttiva, in base alla quale nel nostro ordinamento andrebbe introdotta la clausola di non punibilità per chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto come conseguenza diretta di uno degli atti di cui agli articoli 600 e 601 c.p.
Ritengo che i rilievi espressi debbano essere trasformati in condizioni, riservandosi di presentare una compiuta proposta di parere in tal senso.

In riferimento all’esigenza di specificare che il Piano nazionale d’azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani debba contenere anche misure che scoraggino e riducano la domanda, fonte di tutte le forme di sfruttamento, e riducano il rischio di divenire vittime della tratta Fabiana Dadone (M5S) condivide.

Ti piace questo articolo?

Condividilo su Facebook
Condividilo su Twitter

Lascia un commento