Ricorderemo a lungo il 9 luglio

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Segnatevi la giornata del 9 luglio. Il nostro Paese la ricorderà, negli anni futuri, così come oggi ricorda con orrore l’avvio della legge Fornero: il colpo di grazia alla scuola pubblica, da cui difficilmente si potrà tornare indietro. Avremo molto tempo per pentirci di ciò che è stato fatto.

D’altronde, nelle ultime settimane abbiamo avuto tutti modo di imparare cosa significa davvero in Europa la parola “riforme”: smantellamento dello Stato sociale, elargizioni ai privati, spregio della Costituzione, istituzioni svilite, favori ai potenti. Nella “riforma della scuola” di Renzi, il DDL Istruzione approvato oggi, non manca proprio nessuno dei requisiti richiesti.

I parlamentari del MoVimento 5 Stelle per mesi si sono battuti contro la riforma insieme agli insegnanti e a tanti esponenti del comparto scuola, non facendo mai mancare proposte costruttive, emendamenti nel merito, e mai rinunciando alla speranza di un miglioramento.
Ma Renzi non ha mollato. Le riforme, come ormai sappiamo, s’hanno da fare, e quella della scuola non fa eccezione.

Così, la nuova scuola renziana vedrà una sempre maggiore differenza qualitativa tra istituti per ricchi e scuole per poveri. I presidi saranno sottoposti al controllo politico del Miur, ma al contempo liberi di scegliere gli insegnanti in totale autonomia: il clientelismo è in agguato. Alle scuole paritarie, tanto per cambiare, vengono concessi nuovi e ulteriori vantaggi, mentre le scuole pubbliche, sempre a corto di risorse, continuano a crollare.

E gli insegnanti? Renzi era partito assicurando 150 mila assunzioni. Quelle effettive saranno solo un terzo rispetto a quella cifra e a settembre ci ritroveremo ancora con le supplenze, che il premier aveva promesso di eliminare. Infine, l’esercito di insegnanti precari tagliati fuori dal provvedimento: dimenticati e abbandonati al loro destino.

Il 9 luglio, alla Camera, si è quindi consumato il misfatto dell’ennesima disastrosa “riforma”. I parlamentari M5S lo hanno celebrato leggendo in aula, tutti insieme, i tre articoli della Carta Costituzionale su cui si basa il nostro modello di istruzione. Il Presidente Giachetti li ha interrotti gridando “è finito il tempo!”.

Non sa neppure lui quanto ha ragione: il Paese, davvero, non ne può più.

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