Smart working: Ecco perché i dipendenti pubblici devono essere valutati anche dagli utenti

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Intervista a Repubblica.it all’indomani del decreto sul lavoro agile.

Decreto “irricevibile”. Cgil, Cisl e Uil contestano con forza le nuove norme sullo smart working nella Pubblica Amministrazione e proclamano lo stato di agitazione: le modalità di lavoro agile, obiettano, andavano affidate alla contrattazione. “La situazione pandemica in questo momento rendeva difficilmente percorribile la strada di un accordo ad hoc”, replica il ministro per la Pubblica Amministrazione Fabiana Dadone, che ieri sera ha diffuso il decreto con le norme di applicazione dell’ultimo Dpcm del governo, che dispone che lo smart working si applichi per almeno il 50 per cento dei dipendenti.

E quindi queste disposizioni si limitano a regolare la fase pandemica, dopo riprenderà la contrattazione con i sindacati?

I tavoli con i sindacati erano già stati predisposti, si attendeva solo di conoscere quali erano le risorse messe a disposizione dalla manovra. La contrattazione si aprirà a breve, in vista dei rinnovi contrattuali 2020-2021. E comunque ci sono aspetti specifici della contrattazione che non ho toccato con questo decreto, né con le circolari, a cominciare dal diritto alla disconnessione o dalla regolamentazione dei buoni pasto.

I sindacati della Pubblica Amministrazione contestano l’operato del governo su tutta la linea, anche in riferimento ai rinnovi contrattuali, ai quali ritengono siano stati assegnate poche risorse.

Credo che da parte del governo ci sia stato uno sforzo grandissimo per fare una manovra in una fase emergenziale riuscendo a reperire tutte le risorse necessarie anche per i rinnovi contrattuali, ma non solo. La manovra va vista nel suo insieme: ci sono le risorse per l’assegno familiare, l’edilizia scolastica, la cassa integrazione, l’assunzione degli insegnanti di sostegno. Credo che i sindacati debbano valutare lo sforzo fatto nel suo insieme. Il 50% di lavoro agile è una percentuale che rischia di essere troppo alta a regime, considerato che molta documentazione è ancora solo cartacea, la digitalizzazione in molte amministrazioni è ancora in fase iniziale.
La sperimentazione era iniziata da molto tempo, eppure non si era ancora raggiunto il tetto del 10% disposto dai decreti Madia. Invece con la pandemia c’è stato un passo in avanti obbligato, abbiamo dovuto fare di necessità virtù. La digitalizzazione però è lo strumento, non è il fine: il fine è il lavoro di risultato. Non nego che ancora ci sia tanto cartaceo, ma nulla impedisce ai dipendenti di entrare a prendere i fascicoli che poi servono a lavorare da remoto. È il processo che va riorganizzato nel suo insieme.
 
Che significa smart working a rotazione? L’adesione sarà volontaria?

In questo momento l’esigenza è quella di coniugare la sicurezza con l’efficienza del lavoro. Abbiamo quindi voluto mettere nelle mani dei dirigenti uno strumento per riuscire a organizzare almeno una significativa percentuale dei lavoratori in smart working. Ben venga l’adesione volontaria, ma la riforma viene improntata all’efficienza, non solo in senso lavorativo, ma anche intesa come adesione a una modalità di nuova organizzazione del lavoro.
 
Un aspetto importante è in questo momento la tutela dei lavoratori fragili per ragioni di salute o per la presenza di figli minori di 14 anni, o perché costretti a prendere i mezzi pubblici magari su lunghe distanze. Anche nel dopo pandemia ci sarà comunque una maggiore attenzione a chi si trova in questa situazione?

Diciamo che in questo momento c’è stata l’esigenza di dare dei poteri ai dirigenti per l’identificazone delle persone fragili. La tutela delle esigenze di conciliazione lavoro/vita personale è connaturato a questa tipologia di organizzazione, è una sua parte fondamentale, ma i criteri indicati non sono esaustivi, se ne riparlerà ai tavoli con i sindacati.

La valutazione di risultato deve anche tenere conto della valutazione degli utenti. È un criterio difficile da applicare nella Pubblica Amministrazione: lei ritiene che verrà accettato?

Quello che bisogna fare è ragionare sul sistema di valutazione e renderlo meno autoreferenziale, non solo in riferimento al lavoro agile, altrimenti si rischia di spaccare troppo i sistemi di valutazione. E d’altra parte già se ne parlava nelle linee guida delle performance partecipative. Quando si parla di valutazione della P.A si deve vedere sia la performance individuale che la valutazione da parte degli utenti e delle imprese. Si può avere la sensazione che tutto vada bene ma invece va considerata anche la valutazione dell’utente.

Il decreto consente al dipendente l’uso della propria strumentazione, anche perché immagino sia difficile al momento provvedere in una volta a centinaia di migliaia di computer e di smartphone. Ma c’è un piano anche graduale per la dotazione di strumentazione per i dipendenti della Pa?

In questo periodo emergenziale nel Cura Italia avevamo già inserito norme di semplificazione per l’acquisto di strumenti informatici, che hanno già portato tra gennaio e luglio a un aumento del 185% dei notebook per le pubbliche amministrazioni. Ma non bastano gli acquisti tecnologici: bisogna anche fare formazione perché poi i dipendenti siano in grado di lavorare in cloud. 

Il lavoro agile è un salto di paradigma importante non solo per i dipendenti ma anche per chi governa: veniamo da un lungo periodo in cui la preoccupazione principale è stata quella di far rimanere i dipendenti seduti al loro posto dopo che avevano timbrato il cartellino.

È molto più importante invece nel momento in cui si sono seduti alla scrivania vedere se siamo in grado di valutare quello che fanno. A me non interessa se sono seduti in ufficio o sono altrove, l’importante è come fanno il loro lavoro.
 
Che significa lavoro agile almeno al 50%? Le quote si differenzieranno per amministrazioni? Chi è più avanti?

Questa percentuale è flessibile perché il lavoro agile va dosato dalle amministrazioni, sulla base del livello di digitalizzazione. Ci sono comuni molti piccoli che non hanno servizi digitali, per i quali il 50% non vuole dire nulla, ci grandi amministrazioni come l’Inail per le quali non è difficile raggiungere quote anche dell’80/90% di lavoro agile mantenendo l’efficienza.

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