Smart working vera garanzia dei controlli nella Pa

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La mia intervista a Il Tempo, di Alberto Di Majo.

Difende lo smartworking nella pubblica amministrazione, annuncia che nel giro di pochi anni i servizi online saranno più efficienti ma non nasconde le criticità e richiama i dirigenti che, nel caso, devono licenziare i «furbetti del divano». La ministra della Pubblica amministrazione, Fabiana Dadone, ieri ha annunciato in un question time alla Camera che nella nota di aggiornamento al documento di economia e finanza ci sarà un disegno di legge con nuove disposizioni sul lavoro agile: «Ritengo giusto metterlo al centro del dibattito parlamentare». Non solo. Anche che arriverà presto un decreto ministeriale che conterrà gli «indicatori di performance», per fornire alle amministrazioni pubbliche «prime indicazioni metodologiche per l’organizzazione del lavoro agile a regime». Ha anche precisato che bisogna «ripensare aspetti e istituti tipici che a mio avviso dovranno essere al centro della prossima tornata contrattuale, come il diritto alla disconnessione e alle connesse fasce di reperibilità e contattabilità, alla sicurezza sul posto di lavoro, all’utilizzo dei dispositivi tecnologici, alle modalità di valutazione e degli aspetti disciplinari, per un adeguato bilanciamento dei diritti e dei doveri».

Ministro Dadone, come si è abbattuta l’emergenza Covid sulla Pubblica amministrazione?

«Come in tutti i settori, è stata un grave problema da affrontare con fermezza. A febbraio siamo stati i primi al mondo a parlare di lavoro agile per affrontare il virus e riuscire allo stesso tempo sia a mantenere il distanziamento fisico sia a erogare i servizi essenziali».

Lo smartworking ha reso più produttivi o no i dipendenti pubblici?

«Ha reso produttivi i dipendenti pubblici in una situazione la cui alternativa sarebbe stata chiudere gli uffici del tutto. Nella fase emergenziale sono emersi casi di eccellenza e situazioni di difficoltà, com’era naturale che fosse, Quando avremo lo smartworking ordinario, ne testeremo i risultati. Tutte le ricerche, però, dimostrano che incrementa la produttività».

Ma dopo i furbetti del cartellino non c’è il rischio di una crescita dei furbetti del divano? Avete sistemi di controllo efficaci, dati o evidenze?

«Il furbetto è tale anche se lo si obbliga a stare alla scrivania o gli si mette una telecamera. Il furbetto va licenziato. Se pensiamo che crescano o diminuiscano in base alle scelte politiche generali e non in base alle scelte organizzative del dirigente, forse non abbiamo chiaro in mente cosa sia un ambiente di lavoro. Lo smartworking è uno strumento molto potente in mano alla dirigenza, una modalità che funziona per obiettivi misurabili, capace di stanare chi batte La fiacca».

Negli ultimi anni ci sono stati progressi nella digitalizzazione degli uffici pubblici. Significa che presto potremo avere nuovi servizi senza fare file?

«Il Recovery plan ci darà infrastrutture che permetteranno l’interconnessione delle banche dati e la reingegnerizzazione dei processi amministrativi. Intanto abbiamo accelerato gli iter autorizzativi per l’installazione della banda ultra larga e il 28 febbraio ci attende uno switch importantissimo: tutti i servizi pubblici digitali dovranno transitare su AppIO, saranno al tempo stesso accessibili via Spid e i pagamenti verso le amministrazioni dovranno passare da PagoPa. Avremo moltissimi servizi online, ma anche gli italiani saranno più preparati per poterne usufruire».

Eppure spesso i siti della Pubblica amministrazione non sono proprio efficienti. Quello dell’Inps o la piattaforma del ministero dell’Ambiente per avere il bonus bici sono andati in tilt…

«Pensi che l’Inps da inizio pandemia ha erogato circa 20 milioni di prestazioni di cassa integrazione per 6,5 milioni di lavoratori e, per citare un altro dato, da aprile a ottobre ha autorizzato circa 3 miliardi di ore di Cig, in pratica quasi il triplo rispetto a tutto il 2010 , anno nero della precedente crisi. I dati parlano di una mole di lavoro fuori da ogni contesto di ordinarietà. Dopodiché i problemi si supereranno con gli ulteriori salti tecnologici su cui siamo impegnati».

I lavoratori del settore privato (soprattutto imprenditori e partite iva) stanno pagando il conto più salato dell’emergenza. Crede che ci sia il rischio di una frattura ancora maggiore tra occupati nel settore pubblico, più tutelati, e quelli privati? Da più parti è stato proposto un nuovo patto tra lavoratori.

«Stiamo rispondendo con flessibilità, e senza lesinare risorse, al grande disagio di tutti i comparti. Ci saranno sempre rischi di tensioni sociali se ci sarà chi alimenta odio invece che predicare coesione. C’è già chi sta approfittando di questa crisi per una manciata di voti. Io sono italiana e sono fiera degli italiani, erano anni che non mi sentivo tanto orgogliosa di esserlo, perché nelle crisi noi possiamo scoprire i più bassi istinti, ma anche le migliori energie di questo Paese».

A che punto sono i concorsi per rinforzare e rinnovare la Pa?

«È un tema cruciale. Già nel decreto Rilancio avevamo messo a punto regole nuove per concorsi più snelli nei tempi, più attenti a nuove competenze e tutti digitalizzati, dall’iscrizione alla pubblicazione delle graduatorie su piattaforma informatica, passando per le prove da svolgersi con personal computer. Alcuni bandi con le nuove procedure sono già stati avviati, penso ad esempio al concorso unico per oltre 2mila funzionari amministrativi. Lo stop per l’emergenza sanitaria non è positivo, ma il Covid ci sta insegnando a riadattare spesso il nostro tracciato e non escludo a breve la possibilità di celebrare concorsi ancora più digitali».

Che Pubblica amministrazione immagina nel 2023, alla fine del mandato del governo Conte?

«Una Pa realmente a portata di smartphone. La digitalizzazione, però, è uno strumento, non un fine. L’obiettivo sarà dunque di passare dalla logica dell’adempimento a quella del risultato, tenendo al centro il cittadino, i suoi bisogni e le sue aspettative. Un cambio di passo tangibile per una macchina pubblica capace di essere volano dell’Italia di domani».

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