Da settembre questo ministero parla di rivoluzione del lavoro nelle pubbliche amministrazioni. Abbiamo imposto un tema necessario mesi prima dell’emergenza ed è per questo che non siamo stati colti del tutto impreparati. Ma non è abbastanza, non lo è mai, non lo dev’essere. Alle amministrazioni chiediamo visione, coraggio e flessibilità. Ma offriamo loro sostegno e accompagnamento continuo, nel rispetto della loro autonomia. Sul lavoro agile si è aperta ora la fase più delicata, dopo l’ottima reazione, in linea generale, delle Pa di fronte al lockdown. Adesso dobbiamo consolidare quanto di buono è stato fatto, provando via via a rimuovere gli ostacoli e le difficoltà, facendo tesoro degli errori per non ripeterli e proseguendo nella transizione dal “lavoro in remoto” al vero smart working, flessibile, basato su programmazione, obiettivi e risultati.
Non ha senso avere paura dell’innovazione. La rivoluzione non si fa in un giorno e va guidata per evitare che sia essa a guidare noi: con le norme inserite in conversione del decreto Rilancio proviamo, attraverso il “Pola” (Piano organizzativo del lavoro agile), a farlo nel segno della valorizzazione sia dell’autonomia amministrativa che delle capacità e delle prestazioni di dirigenti e dipendenti. Non a caso il “Pola” è collegato al Piano delle performance e non a caso lo smart working è uno dei migliori strumenti per stanare chi già lavorava poco in ufficio e pensa di fare lo stesso stando a casa.
In questi giorni ho letto e ascoltato tante riflessioni sul lavoro agile nella Pa, alcune molto interessanti e stimolanti, altre semplicistiche o alquanto peregrine. Bisognerebbe “prima conoscere, poi discutere, poi deliberare”, diceva Luigi Einaudi, ma chi cerca facile visibilità non la vede come lui.
Nessuno ha mai detto o pensato che lo smart working sia la panacea di tutti i mali della Pa o che il vero lavoro agile si possa mettere in piedi semplicemente lasciando a casa un lavoratore che fino al giorno prima andava in ufficio. “Smart working” è come un’etichetta assegnata a un insieme di attività lavorative e procedure complesse, a una svolta culturale che deve anche concretizzarsi come premessa alle nuove modalità di erogazione dei servizi. Un cambiamento che nessuno impone o cala dall’alto, e già questo è sorprendente in Italia, ma una vera e propria riforma collettiva del lavoro. Il “Pola” nasce per sopravvivere al singolo ciclo politico, per adattarsi alle esigenze dei cittadini e dell’organizzazione dei servizi. Non è uno strumento rigido, ma è flessibile, cambia pelle, e si attaglia ai tanti contesti delle diverse amministrazioni pubbliche.
Abbiamo una grande opportunità, non lasciamocela sfuggire. Insieme, possiamo dare una forte spinta al Paese.