Quando dico che la Pa può farsi volano del cambiamento del Paese, intendo che una macchina pubblica forte, consapevole del proprio ruolo e delle proprie responsabilità può creare o rafforzare nuovi mercati con gli approvvigionamenti, può sostenere la competitività delle imprese con servizi di qualità e può fare da esempio con modelli organizzativi più efficienti, incoraggiando anche una rivoluzione culturale complessiva.
Lo smart working tocca tutti e tre i campi di innovazione. Ecco perché, guardando al futuro, mi farà piacere poterne discutere durante l’evento di mercoledì prossimo, organizzato dal professor De Masi, che ringrazio dell’invito, e animato da alcuni tra i massimi esperti del tema che, ovviamente, riguarda diverse discipline, dall’economia alla sociologia, dall’ambiente alla psicologia, e si presta a molte chiavi di lettura.
Stiamo operando per portare anche il lavoro nella Pa fuori da una concezione taylorista-fordista, fuori dall’approccio che definirei da “catena di montaggio degli adempimenti”, per cui ciascuno si cura soltanto del proprio pezzetto di procedura. E lo stiamo traghettando verso la logica del risultato, della centralità del cittadino.
Adriano Olivetti diceva che dà gioia il lavoro che giova a un nobile scopo. Bene, quale missione più nobile di quella che porta avanti chi opera, nello Stato, per il bene della collettività? Il lavoro agile a regime può contribuire ad aumentare la produttività e, dunque, a valorizzare il merito nel pubblico impiego.