La sfida per innovare la Pa passa da partecipazione e inclusione

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Il mio intervento per Comunicare Magazine, in vista della XXXVII Assemblea annuale ANCI 2020.

Il mondo di ieri non esiste più, quello di domani dobbiamo costruirlo passo dopo passo. Ma non possiamo perdere tempo. Il Paese sta vivendo un’accelerazione drammatica, un cambio repentino di paradigma causato dalla pandemia da Covid-19, però la tragedia sta portando con sé inevitabilmente delle lezioni che ci torneranno utili se sapremo tutti farne tesoro.

La Pubblica amministrazione vive in prima linea questa rivoluzione. Già prima dell’avvento del virus stavamo lavorando a una Pa innovativa, più digitale, che desse più spazio allo smart working quale biglietto da visita di una migliore organizzazione, una macchina dello Stato soprattutto capace di mettere al centro il cittadino, le sue istanze e i suoi bisogni, anche sfruttando le potenzialità enormi delle nuove tecnologie.

Poi è arrivato lo shock del lockdown, abbiamo fatto in modo che lo Stato non arretrasse con il lavoro agile d’emergenza e intanto ci siamo subito messi all’opera per raccogliere le sfide imposte dal coronavirus. Abbiamo accelerato sulla digitalizzazione, abbiamo tolto vincoli e liberato risorse per la formazione del personale, tema centrale anche rispetto ai progetti del Recovery plan. E, nonostante le incognite sul piano sanitario, abbiamo fatto ripartire la macchina del reclutamento su basi del tutto nuove. Abbiamo infatti digitalizzato i concorsi, velocizzato le procedure, informatizzato le prove e stiamo puntando sulle nuove competenze e sui profili innovativi di cui la Pubblica amministrazione ha tanto bisogno.

Tuttavia, il grande portato di novità delle azioni poste in essere non potrebbe mai attecchire e dare i suoi frutti se fosse calato dall’alto, se fosse vissuto come una imposizione, una cascata di regole e direttive irradiate dal centro alla periferia in senso unidirezionale. L’Italia è la ricchezza multicentrica dei suoi territori, dei suoi campanili, delle sue città che sanno creare valore sociale e culturale, proteggerlo e renderlo bene comune.
Troppo spesso tendiamo ad assimilare la Pubblica amministrazione ai ministeri, alle grandi agenzie o agli enti centrali. Invece io, anche per le mie radici e la mia provenienza da un’area di borghi piccoli e piccolissimi, so bene che i municipi e le realtà amministrative che punteggiano i nostri comprensori rappresentano una risorsa enorme, il tessuto connettivo che tiene assieme la comunità nazionale.

Non esiste vera innovazione senza inclusione. Non esiste vera rivoluzione senza partecipazione. I Comuni conoscono benissimo la logica della costruzione dal basso, della sinergia e della collaborazione istituzionale. Ecco perché la Funzione pubblica ha deciso di assumere un approccio diverso da quello che spesso è stato adottato in passato, un atteggiamento fatto di ascolto, accompagnamento, sostegno alle città che dapprima hanno pagato gli anni dell’austerity di bilancio più degli altri livelli di governo e che poi, con la crisi pandemica, si sono trovate sulla prima linea dell’emergenza, a difendere i cittadini spesso con pochi mezzi.

Il Governo ha fatto già tanto per liberare risorse in favore dei sindaci, ma la Funzione pubblica non ha voluto essere da meno. Con i fondi del Pon governance a disposizione, 42 milioni di euro, abbiamo subito lanciato un bando per rafforzare la capacità amministrativa dei centri sotto i 5mila abitanti, attraverso interventi di riorganizzazione in chiave digitale, aumento della trasparenza e dell’accesso ai dati con riferimento alle politiche di open government, nonché in relazione alla gestione del personale, l’organizzazione delle strutture, il miglioramento dell’efficienza degli enti locali nell’attuazione delle policy sostenute dai Fondi strutturali e di investimento europei.

La preparazione e le competenze del personale rappresentano un tema chiave anche per gli enti locali, naturalmente. Penso alla necessità di sopperire rapidamente alla carenza di saperi tecnici, quelli che sono propri ad esempio degli ingegneri, degli architetti o dei progettisti. La riforma del reclutamento è infatti un punto qualificante delle nostre linee di intervento; non a caso, abbiamo subito agito per sveltire ed efficientare pure le assunzioni dei segretari comunali che rimangono una figura cruciale in seno alle amministrazioni. Al tempo stesso stiamo valutando la possibilità di rafforzare il lavoro della Scuola nazionale dell’amministrazione (SNA), creando un coordinamento con approcci formativi focalizzati su esigenze e peculiarità degli enti territoriali.

I Comuni hanno centralità assoluta nella mia visione dell’assetto istituzionale e in quella dell’intero Governo. La storia italiana ci insegna che le città hanno rivestito per secoli un ruolo propulsivo nell’avanzamento della nostra civiltà. Così come oggi, nel sistema economico, i municipi rappresentano il primo motore degli investimenti e della creazione di ricchezza, sostenibile e diffusa, attraverso le risorse pubbliche. Con il decreto Semplificazioni abbiamo avviato lo snellimento di quegli appesantimenti burocratici che spesso non consentono di mettere a terra rapidamente i fondi a disposizione. Tuttavia, siamo di fronte solo a un primo passo: la semplificazione è una faticosa pratica che va portata avanti giorno dopo giorno, procedura dopo procedura. In tal senso, la collaborazione multilivello sull’Agenda per la semplificazione 2020-2023 potrà condurci verso nuovi e importanti risultati.

In conclusione, i Comuni rappresentano il primo biglietto da visita che lo Stato porge ogni giorno ai cittadini. Non potremo raggiungere l’obiettivo supremo di porre le persone al centro dell’azione amministrativa se le città non saranno in grado di fornire in modo ancor più efficiente e inclusivo i tanti servizi, spesso essenziali, che ad esse fanno capo. Il Governo sta facendo e farà sempre il massimo per sostenerle.

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