Superiamo il feticcio del cartellino. Smart working al 40% negli uffici pubblici

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La mia intervista di oggi a La Stampa, di Federico Capurso.

Ministra, lo smart working nella pubblica amministrazione funziona? Diventerà strutturale?

Vorrei mantenere tra il 30 e il 40 percento dei dipendenti pubblici in smart working anche nel post-Covid. Abbandoniamo il feticcio del cartellino, le polemiche sui furbetti, e iniziamo a far lavorare per obiettivi, con scadenze giornaliere, settimanali, mensili.

Come funzionerà?

Non si tradurrà solo in un “lavorare da casa”, ci saranno anche delle postazioni di co-working. E servirà un cambiamento di mentalità, nella formazione del personale e nel ruolo dei dirigenti. Chi lavorerà in smart-working e per quanto tempo lo decideranno in autonomia le diverse amministrazioni.

Non c’è un pericolo maggiore per la sicurezza dei nostri dati?

Gli investimenti del governo andranno anche in questa direzione, per fare formazione e dotare di strumenti adeguati la Pubblica amministrazione. È un problema che stiamo affrontando comunque con il ministro dell’Innovazione, Paola Pisano.

Sono piovute critiche pesanti sulla pubblica amministrazione per i suoi ritardi nell’erogazione della cassa integrazione e di altri sussidi. Cos’è che non ha funzionato?

Ci sono stati degli intoppi e non mi illudo che la Pa sia perfetta, ma il personale pubblico in queste settimane di emergenza ha sempre continuato a lavorare, da remoto, cercando di garantire il servizio. Poi siamo intervenuti con il decreto Rilancio, prevedendo l’arrivo di benefici economici con una semplice autocertificazione.

Sul tavolo del governo ora c’è il decreto Semplificazione. Il suo ministero sarà centrale per provare a sveltire la macchina della pubblica amministrazione. A che punto siamo?

Credo che entro la fine di giugno riusciremo a portare il decreto in Consiglio dei ministri. È un lavoro che va avanti da tempo, ma è necessario renderlo organico, dargli una direzione univoca, altrimenti non funzionerà.

Lo snellimento della burocrazia è una battaglia che si intestano tutti i governi, da sempre, poi però non se ne fa mai nulla. Perché questa volta dovrebbe andare diversamente?

Credo che questa pandemia abbia portato i nodi al pettine. È vero, ci sono state in passato delle sacche di resistenza all’inteno della Pa, ma oggi è fondamentale che gli alti dirigenti di Stato rinuncino a un pezzo del loro potere e accompagnino la macchina amministrativa verso una trasformazione che non è più rinviabile.

Da dove iniziare?

Dalla digitalizzazione. Abbiamo già agevolato l’acquisto di tecnologia da parte della Pa. Ora dobbiamo permettere alle diverse banche dati delle nostre istituzioni di parlarsi, come abbiamo previsto nel decreto Rilancio, in modo che un’informazione data ad un ente pubblico sia poi a disposizione di tutti gli altri. Ma anche qui, sarà fondamentale che amministrazioni e ministeri siano meno gelosi delle loro informazioni.

Faccia un esempio.

Penso al cittadino costretto a presentare il proprio certificato Isee più e più volte in un anno, se vuole accedere a sussidi dello Stato, a bandi pubblici o all’assistenza da parte del proprio Comune. Se le banche dati riusciranno a comunicare tra di loro, sarà sufficiente fornire i documenti una volta sola, poi saranno i vari enti a scambiarseli. Partiremo con le banche dati più grandi, come quella dell’Inps e dell’anagrafe, e a cascata le altre.

Oggi in Senato si votano le mozioni su Bonafede: le minacce di Italia Viva la preoccupano?

Mi sembra una situazione surreale. Renzi fa parte di questo governo; se sfiduciasse il ministro Bonafede, aprirebbe una crisi che i cittadini farebbero fatica a comprendere. Sono tranquilla.

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